CANDIDO CANNAVO’ – Una vita in rosa: lo sport è vita

Ibs Una vita in rosa non è un semplice libro di sport, ma nei fatti rappresenta un romanzo di vita quello che Candido Cannavò ha scelto di consegnare alla stampa dopo la conclusione della sua lunga esperienza come direttore della «Gazzetta dello Sport», il quotidiano sportivo milanese che ha guidato in prima persona tra il 1983 ed il 2002. Rivivono strada facendo personaggi ed episodi più o meno leggendari o noti al grande pubblico, come ad esempio la tragica scomparsa del Grande Torino, forse la più forte squadra calcistica italiana di sempre, schiantatasi in mezzo alla nebbia contro la Basilica di Superga, mentre rientrava in aereo da una trasferta per un’amichevole a Lisbona, oppure il decesso, altrettanto tragico ed inaspettato, del Campionissimo del ciclismo Fausto Coppi, stroncato a poco più di quarant’anni da una malaria contratta in Africa durante una battuta di caccia. Ma il vero filo conduttore della narrazione sono le Olimpiadi, la competizione più amata dal giornalista siciliano: si comincia con l’edizione romana del 1960 e si termina con quella di Sidney nel 2000, attraverso la presentazione non tanto dei singoli risultati in sé, quanto degli atleti che li hanno ottenuti e degli aneddoti loro riconducibili. Perché in fondo questo volume è prima di tutto un libro che parla di uomini e donne, senza indulgere nella retorica e senza la pretesa di voler a tutti i costi dipingere santini. Emblematica è in proposito la parabola di Marco Pantani, il ciclista più amato dopo il duopolio di cui furono prim’attori Gino Bartali ed il già citato Fausto Coppi, tratteggiato nei giorni dei trionfi agonistici ed in quelli della vergogna seguita all’esclusione per un tasso troppo alto di ematocrito dal Giro d’Italia del 1999, alla vigilia di un successo che tutti ormai davano per assodato: tratteggiato con l’atteggiamento tipico di un padre severo.

 

FRAMMENTI

 

«Quel Torino vive ancora, secondo me, nella galleria delle più grandi squadre della storia. Credo che certe sue esplosioni di gioco, dieci minuti devastanti per qualsiasi avversario, appartengano al repertorio di mitiche formazioni come la Honved di Puskas o il Brasile del primo Pelè. Sono certo che Valentino Mazzola sarebbe anche oggi un grande capitano e che un difensore della classe di Maroso regga il confronto con il grande Facchetti o col Paolo Maldini dei giorni nostri» (pagina 24).

«Arrivò Bartali. Prese la mano di Fausto e disse: «È incredibile, è incredibile». Pianse e pregò alla sua memoria. Il grande duello era finito per sempre. Ho conosciuto bene Bartali: entusiasta, chiassoso, instancabile, polemico, ma uomo di grandissima spiritualità. Un onesto. Da quel gennaio 1960 fu anche orfano. Un pezzo della sua vita si era lacerato per sempre» (pagina 57).

«La prima Olimpiade, come il primo amore, non si scorda mai. Ero un giornalista vero e povero, con regolare contratto, ormai lanciato verso una vocazione irresistibile. L’editore e padrone de «La Sicilia», dove lavoravo da oltre un decennio, abusivismo compreso, veniva da Adrano, grosso centro agricolo dell’Etna, teatro anche di grandi imprese di brigantaggio. Si chiamava Domenico Sanfilippo… Io chiesi udienza a Sanfilippo e gli dissi, con tono di sfida, che un quotidiano giovane e lanciato come il suo doveva fare un salto di qualità. L’Olimpiade di Roma andava onorata con una firma della redazione. In pratica: da me. Lui finse di non capire, deviò più volte il discorso. Poi gli lessi negli occhi il solito lampo. Era fatta» (pagine 58 e 59).

 

«Il passaporto padano lo aspetto ancora, ma sono stato protagonista di un dissacrante paradosso: il 7 dicembre di quel favoloso ’96 il sindaco della Lega ha conferito a un sicilianaccio antico, nella solennità della Sala Aniasi, la più ambita onorificenza milanese: l’Ambrogino d’oro. Le ipotesi sono due. O Bossi non l’ha mai saputo, o il “caso Cannavò” rientra fra le ragioni della clamorosa rottura tra Formentini e il suo venerato capo. Non penso che gli storici se ne preoccuperanno» (pagina 250).

 

«Ogni anno, per il tempo che mi resta da vivere, il 14 febbraio non penserò agli amori, alle promesse e alle tenere oleografie di San Valentino. Ma penserò a lui. A quella telefonata che, a tarda sera, mi fece scattare sul divano sul quale stavo conciliando la noia con il sonno: «Mi dispiace dovertelo dire. È morto Marco Pantani». In questi casi il cervello si riempie di nebbia per qualche secondo. Poi c’è il mestiere, il tristissimo dovere che ti sveglia brutalmente. «Devi scrivere l’articolo. È tardi, dobbiamo rifare il giornale…». Ne ho trascorsi tanti di questi momenti in cinquant’anni di professione. So come si fa, come si può scrivere piangendo. So cosa si riesce a tirar fuori nei momenti terribili. So quanti pensieri, quanti ricordi si scontrano nella tua mente. E scrivendo, ricostruendo la trama del bene e del male, quasi dimentichi che Marco è morto, che non lo vedrai mai più. Speri che sia un incubo, un’allucinazione. Ma il dovere del «pezzo» da scrivere ti richiama» (pagina 267).

LEGGIBILITÀ: la firma dell’autore è da questo punto di vista una garanzia. Il lettore si trova di fronte, pagina dopo pagina, a racconti di vita imperniati di umanità e capaci di emozionare.

ROMANTICISMO: l’indulgenza nel romanticismo è forse la caratteristica principale del Cannavò scrittore. La sua capacità di emozionare e regalare entusiasmo è figlia di un percorso di vita che ha fatto della macchina da scrivere prima e del computer poi non già gli strumenti di una professione, ma quelli di una missione.

MOLE: le quasi quattrocento pagine di prim’acchito spaventano. Ma la loro godibilità e la possibilità di gustare anche un solo capitolo alla volta, senza fretta e senza per questo perdere il filo del discorso, poco a poco smontano ogni preoccupazione.

PER CHI È QUESTO LIBRO: per tutti coloro che amano lo sport e vogliono compiere un viaggio in mezzo secolo di storia italiana.

PER CHI NON È QUESTO LIBRO: per chi pensa che lo sport sia una nicchia della vita di tutti i giorni e non sa, o finge di non sapere, che dietro ogni singola impresa sportiva si celano un uomo o una donna, con una vicenda da raccontare.

 

Paolo Colzani

Please follow and like us:
0

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *