Lo Sport non ha limiti. Intervista a Silvia Galimberti di Briantea 84

Basket in Carrozzina – Presentiamo oggi una piacevole intervista ricca di spunti con Silvia Galimberti, addetta alla comunicazione della Briantea84, società di basket in carrozzina di serie A1. Classe 1980, una tesi dal titolo “Tv e sport paralimpici: linguaggi, limiti e trasformazioni” e una predisposizione naturale e coltivata per uno sguardo sullo sport a 360°. Quest’estate, sarà alle Paralimpiadi e vedrà da vicino una manifestazione che si preannuncia ricca di pubblico ed emozioni e che, è bene ricordarlo, esiste dal 1960 (e la prima edizione fu proprio in Italia). Il motto della Briantea84 è “Lo sport non ha limiti” e questa la nostra chiacchierata.
briantea-84
Silvia Galimberti con Chiara Ruggieri (coach) e Mattia Sala (atleta)
1) Disabilità e sport, un connubio possibile. Come?
Non solo è possibile ma è necessario. L’approccio deve essere quello dello sport universalmente inteso: impegno, preparazione, sacrificio, tecnica, dedizione, agonismo. Le persone con disabilità possono fare sport con gli stessi risultati di chiunque perché lo sport paralimpico è sport, senza mezzi termini. Purtroppo non è una verità sempre riconosciuta, ma i progressi ci sono e sono quotidiani.
2) Il linguaggio nell’ambito della disabilità. Quali sono le parole che “non si possono sentire”?
Non se ne può più di sentire espressioni come “diversamente abile” o persone “affette da una disabilità”. Sono modi sbagliati per parlare della disabilità, che non è una malattia ma una condizione di vita. È discriminante e pietistico. Molto spesso, però, si ha timore a relazionarsi con la disabilità e questo atteggiamento si riflette anche nel modo in cui parliamo. La cosa migliore da fare è normalizzare la disabilità e focalizzare l’attenzione sulla persona, non sulla sua disabilità.
3) Come nasce l’attenzione verso il mondo della disabilità?
Per quanto mi riguarda è stata una casualità. Volevo cambiare lavoro e ho trovato sulla mia strada Briantea84, una delle società italiane più importanti nel campo dello sport rivolto ad atleti con disabilità. Non avevo nessuna esperienza pregressa, quindi ho semplicemente applicato quanto sapevo al mio nuovo lavoro, ovvero comunicare l’attività dei 110 atleti di cui la società è composta. Mi sono resa conto che si tratta di una vera e propria battaglia, ci si scontra con molta ignoranza e spesso anche con vere e proprie preclusioni, quindi spesso occorre educare anche chi scrive a considerare lo sport paralimpico senza pregiudizi o pietismo. Una bella sfida.
4) Lo sport per persone con disabilità che momento sta vivendo? A livello economico, sociale, mediatico?
Si tratta di un mondo in crescita, con una storia molto recente quindi ancora in fase di costruzione della propria identità. Con tutti i pregi e le negatività che questo comporta: gli investimenti nello sport paralimpico sono ancora pochi, se rapportati al giro economico dello sport in generale, eppure è un campo assolutamente vergine e molto interessante perché – non dimentichiamolo mai – nel mondo ci sono oltre 650 milioni di persone con disabilità, in Italia quasi 6 milioni. Le Paralimpiadi di Londra, ad agosto, rappresenteranno un momento di visibilità incredibile e questo porterà dei cambiamenti sia nella mentalità che nella notorietà. Speriamo, però, che tutta questa luce non si spenga insieme alla fiaccola paralimpica.
5) L’inserimento di un normodotato all’interno di una squadra di atleti con disbailità. Cosa ne pensa?
Nella nostra squadra di basket in carrozzina in serie A1 abbiamo un atleta normodotato, uno dei primi in Italia. Ma in un sistema regolamentato in cui ogni giocatore ha un punteggio, il fatto che lui sia normodotato si traduce solo in una diversa classificazione. Diverso è il discorso culturale, perché la sua presenza dimostra al pubblico che il basket in carrozzina – al pari di altri sport paralimpici – è uno sport come un altro, divertente, appassionante, bello da giocare e da vedere.
6) Quando il mondo normodotato e quello disabile si incontrano quali sono i rischi che portano a sentirsi diversi?
Parto dal presupposto che siamo tutti diversi e tutti facciamo parte dello stesso mondo. Quando vado a parlare nelle scuole, spiego sempre ai ragazzi che ogni persona va valutata per quello che sa fare. In fondo, è sempre una questione di punti di vista: se mi sedessi su una carrozzina da basket e provassi a tirare a canestro, la disabile sarei io! Quindi la domanda è: diversi da chi?
7 ) Lei lavora per la Briantea 84 che da anni è sul territorio a favore dell’abbattimento delle barriere, e non solo quelle fisiche. Quali sono i punti vincenti di questa società?
Sicuramente l’apertura mentale e il fatto che a livello di concezione della disabilità, Briantea84 fa scuola. È sempre stata moderna, un passo avanti rispetto all’ottica assistenzialista che spesso prende il sopravvento quando si parla di disabilità. Da noi ogni ragazzo è considerato un atleta e viene inserito in un progetto sportivo pensato con la massima professionalità. E poi il bello di Briantea84 è che è attiva su molti fronti, è una società poliedrica: facciamo sport e siamo strutturati come una piccola azienda, ma nello stesso tempo abbiamo la pazzia di spingerci anche in altri territori, ci piacciono gli eventi e l’idea di portare lo sport paralimpico in contesti più disparati. Rompere gli schemi ci viene piuttosto bene.
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