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Trento Scudetto – Coriandoli per Jack: la favola di chi concretamente lotta.

Trento Scudetto

Che Valentina Doati abbia il dono di scrivere bene lo avevo capito il primo giorno che l’ho incontrata (letta, pardon). Che avesse una sensibilità particolare anche. Che abbia tanti interessi e che, per questo, sappia spaziare con le parole è francamente la cosa che mi ha affascinato di più di lei. Sulla storia di Giacomo Sintini, giocatore e uomo coraggioso non dico niente, perchè Valentina ha scritto qualcosa di speciale. E Schiacciamisto5 dedica questa storia a Jack Sintini, a Trento, a Piacenza, a chi è arrivato ultimo e alle società che l’anno prossimo non ci saranno più. A tutti quelli che lottano di brutto. E che da un pugno aprono la mano in un cinque…buona lettura!

Elena Sandre

Coriandoli per Jack

 

12 maggio 2013, ore 16.30: che cos’è tutto questo frastuono?! Cosa?! Quattromilatrecento?! Impossibile! Mai vista così tanta gente. Nemmeno quando abbiamo fatto la Processione del Cristo Redentore a Comeana c’era così tanta gente. Comunque sono entrati in campo ventiquattro ragazzi e fanno tutto questo rumore?! Nemmeno quando abbiamo fatto il concerto dei Modà c’era così tanto rumore. Questi qui chi sono? Mica sono famosi come i Modà. Boh…

Ore 17.00. Ah, che bello l’inno italiano, mi piace proprio tanto: è allegro, si canta, poi la gente batte le mani – che non sarà proprio solenne, però vuoi mettere che grinta ti mette addosso?! Ci ho messo un po’ a capire cosa succede sotto di noi, ma da quassù è difficile. Siamo così in alto che i giocatori sono dei puntini colorati: bianchi e rossi, mancano quelli verdi e poi fanno il tricolore come noi coriandoli. Non so per chi fare il tifo: la coriandola appesa due posti a fianco a me – che è tanto appassionata di pallavolo e che quando hanno chiamato un certo Samuele Papi è diventata rossa ed è strano perché un secondo prima l’avevo vista nel settore dei “Bianchi”… – mi ha spiegato che questa è una partita importantissima perché chi vince porta a casa lo scudetto. Noi dobbiamo paracadutarci quando il capitano della squadra che avrà vinto alzerà in alto la coppa.

…Ci siamo! Ragazzi, tutti pronti?! Tra poco tocca a noi!

Sotto stanno facendo una festa vera: hanno vinto i bianchi! Bel clima al palazzetto, è più divertente del concerto dei Modà e però vedo anche più commozione che alla Processione del Cristo Redentore. Perché la gente piange? C’è uno dei bianchi che sta facendo il giro di tutto il campo e a uno a uno va ad abbracciare tutti i giocatori. Anche quelli rossi. Lo abbracciano tutti e si vede proprio che gli vogliono bene: l’affetto vero ha sempre un’altra espressione e un sorriso pieno di gioia sincera lo distingui subito da uno di circostanza. Lui non ha solo il sorriso pieno di gioia, ma è tutto l’immagine della felicità. …Chi?! Sì, ha il numero 2. Il 2 simboleggia la sua “seconda vita”. Davvero?! E nella prima che cosa è successo? …Deve avere un grande talento perché a vederlo giocare stasera si capisce che è nato per giocare a pallavolo e in un ruolo dove bisogna avere tanta sensibilità. La prima partita vera dopo il tumore…che storia incredibile. Mi sono commosso un po’ anche io, come i giocatori che lo abbracciano e i giornalisti che lo intervistano. Non riusciamo a sentire cosa sta dicendo, però ha gli occhi lucidi e la vena nel collo come quando urli per esortare qualcuno a combattere con tutte le sue forze e a sperare – sempre – di vincere. Stringe il pugno con così tanta forza che secondo me avrà i segni delle unghie nel palmo della mano e quel pugno chiuso sembra proprio dire “non arrenderti mai di fronte alle difficoltà, non smettere mai di lottare per raggiungere il tuo obiettivo”. Grande o piccolo che sia, se per te quell’obiettivo è importante devi combattere per realizzarlo fino a non avere più energie. Il suo obiettivo era continuare a vivere – e questo francamente li batte tutti.

Si chiama Jack e glielo leggi in fondo agli occhi quanto ha sofferto: se lui, con quell’espressione piena di quel qualcosa di immenso che rende umani, ti dice di lottare e di non smettere di sperare, beh, ci credi. Ti fidi di uno che ha dato palloni a destra e a manca per due ore e un anno fa usciva da un incubo chiamato chemioterapia. Lo rispetti e ti chiedi un po’ se tu avresti la stessa forza. Forse nemmeno l’ombra. Però se a me o a qualcuno che conosco dovesse succedere qualcosa di brutto (non per forza grave come un tumore, basta anche uno di quei piccoli grandi problemi di tutti i giorni – che poi, se ci pensi bene, scopri che sono come le nuvole fritte del ristorante cinese: fai fatica a digerirle, ma di sostanza ce n’è davvero poca) racconterei la storia di Jack. Iniziando da quel pugno chiuso. Ce ne sono stati tanti di sportivi che ho ammirato per le loro imprese agonistiche: eroi in carne ed ossa che trasmettono i valori con cui crescere. Però uno come Jack non l’avevo ancora incontrato: francamente li batte tutti!

Qui stiamo piangendo tutti, ma ora ricomponiamoci, ragazzi! Quel fusto del capitano sta prendendo in mano la coppa: tra un attimo dobbiamo buttarci! Sapete cosa vi dico? Che adesso lo vado ad abbracciare anche io, Jack.

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