Mauro Berruto

L’Italia alle Olimpiadi di Rio: la qualificazione è anche di Mauro Berruto

L’Italia è di Chicco Blengini. Ma la qualificazione anche di Mauro Berruto

Va a prendere le tue cose. I sogni richiedono fatica. E’ questa la frase di Paolo Cohelo che Mauro Berruto ha scritto sul suo blog come “benvenuto” a chi visita il suo sito.
E davvero, oggi più che mai, in questo giorno di festa ritrovata per la pallavolo maschile italiana, un sorriso un po’ amaro pensando al tecnico torinese mi è venuto. Perchè anche se lui, nel suo post di commento alla qualificazione ottenuta durante la World Cup di Tokyo, ha parole, come di consueto, di amore e ringraziamento, mi salta inevitabilmente in testa che il giorno in cui la nazionale maschile di Chicco Blengini ha staccato il biglietto per le Olimpiadi di Rio de Janeiro sia stato un giorno bello ma, insieme, di riflessioni per quel che sarebbe potuto essere.
Qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi sia la colpa e di chiunque sia del polverone salito quest’estate con l’epurazione di Dragan Travica e tutto il resto, questa qualificazione era la sua qualificazione.
Era quella di chi, ormai più di tre anni fa, aveva iniziato a fare collegiali su collegiali, durante l’inverno, con giovani che, in prospettiva futura, avessero nelle mani e nella carta d’identità la possibilità di giocarsi un Olimpiade. Ci ha creduto fin dall’inizio quando in tanti dicevamo: ma no, dai, ma chi è sto Giannelli che ha sei anni compiuti e ancora il fiocco azzurro al collo? E Matteo Piano? Ma se c’è Luigi Mastrangelo. Via, siam seri, un commento o un pensiero di questo genere lo han fatto in tanti.
Detto questo, la qualificazione a Rio è, e deve essere, anche di Mauro Berruto. Che ha dato le dimissioni dopo la World League di quest’estate in un putiferio che ha raccolto di fatto innumerevoli apprezzamenti per il suo modo di essere ma anche tanti schieramenti netti, a prescidenre, a favore del giocatore preferito di turno. Perchè è così che va lo sport guardato: ti “innamori” di un giocatore e gli dai ragione, pur non sapendo. E’ così che va lo sport guardato: l’allenatore sei tu, in poltrona, e avresti fatto sicuramente meglio di quello in panchina. Ma, in fondo, chi guarda non sa niente (anche se gli han riferito qualcosa per conoscenza e grazie al telefono senza fili). E la cosa bella è che è giusto così. Fa parte del gioco. Anche questo.
Così come fa parte del gioco l’idea che le emozioni che senti – quando per esempio vinci un bronzo olimpico a Londra – siano emozioni che – come dice Mauro Berruto nel suo post – ti sono state date in prestito e che devi ridare indietro. Almeno un pochetto.
Elena Sandre

@elenasandre

@schiacciamisto5

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